Questa
 settimana non ci si può esimere dall’occuparsi di Berlusconi. Speriamo 
sia l’ultima, anche se col Cavaliere non si può mai dire. Però il Tempo,
 il padrone assoluto delle nostre vite, ha fatto il suo implacabile 
lavoro, cui nessuno può sfuggire. Aveva 54 anni quando ‘scese in campo’,
 oggi ne ha 76. Le sue formidabili energie, succhiate da migliaia di 
saprofiti, si sono andate via via affievolendo. Oggi è un vecchio come 
denuncia il suo volto che, nonostante tutti gli accorgimenti, anzi 
proprio per essi, è diventato un mascherone impressionante. Lo stesso, 
disperato, patetico, aggrapparsi a giovani donne è il segno di una 
inesorabile, infantile, senilità. E’ un vecchio logoro perché a 
differenza, poniamo, di Napolitano che non ha mai battuto chiodo in vita
 sua (“coniglio bianco in campo bianco”), si è speso molto.
Ho
 avuto contezza di Berlusconi nei primissimi anni ’80 quando il 
direttore del Giorno, Guglielmo Zucconi, mi affidò il compito di 
scandagliare i quartieri di Milano e io, fra gli altri, scelsi Milano 
Due. Scoprii quindi più che un quartiere, un ceto medio nuovo, nascente,
 senza storia, senza tradizioni, senza cultura, senza un’ideologia che 
non fosse la più gretta difesa dei propri interessi, di cui Berlusconi 
era il perfetto rappresentante e, insieme, il demiurgo. Come per le sue 
Tv.
In
 quei primi anni ’80 il suo braccio destro era Marcello Di Tondo, un 
giovane democristiano che era stato mio collega alla Pirelli. In uno 
scantinato di Milano Due stava organizzando una televisione di 
quartiere. “Lui è convinto - mi disse Di Tondo – di poter creare un 
grande network nazionale che possa far concorrenza alla Rai. C’è sempre 
qualcosa di vagamente delirante in quel che dice Berlusconi e io stesso 
ne rimango perplesso. Ma poi mi affaccio alla finestra, vedo le case di 
Milano Due e mi dico: però tutto questo l’ha creato lui”. La grande 
forza di Berlusconi è sempre stata quella di credere, di fortissimamente
 credere, ai proprio sogni e perciò di realizzarli. “Con quali metodi – 
disse Indro Montanelli al giovane Travaglio – preferisco non saperlo”. 
Sono sempre stati metodi, per usare un eufemismo, fuorilegge (e il 
vecchio Indro, cinico la sua parte, lo sapeva benissimo) ma poiché 
c’erano milioni di imprenditori italiani disposti a usare gli stessi 
metodi pur di raggiungere i risultati di Berlusconi, e non ce l’hanno 
fatta, bisogna pur dar atto al Cavaliere di essere stato, nel campo del 
banditismo economico e finanziario il campione dei campioni.
Non
 ho mai capito se Berlusconi sia una persona veramente intelligente. 
Certamente è molto abile. Nei primi anni ’90 fu Umberto Bossi, insieme 
alla magistratura, a scuotere l’albero della partitocrazia, ma è stato 
Berlusconi a coglierne i frutti. Certamente è perlomeno curioso che nel 
momento in cui si dichiarava a gran voce di voler fare piazza pulita 
della Prima Repubblica gli italiani abbiano votato in massa un 
imprenditore che era stato il principale sodale economico di Bettino 
Craxi che della degenerazione della Prima Repubblica era ritenuto il 
massimo responsabile. Dei diciotto, desolanti, vuoti, anni di regime 
berlusconiano responsabile non è il Cavaliere, responsabili sono gli 
italiani, sia quelli che gli hanno creduto, sia quelli che – per usare, 
nobilitando molto le cose, un’espressione di Giuseppe Berto a proposito 
di Benedetto Croce e il fascismo – “lo hanno avversato in modo così 
balordo da favorirlo”.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 27 ottobre 2012)
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