Come volevasi dimostrare, il pregiudizio universale
che accompagna il governo Conte da prim’ancora che nascesse
sta diventando un gigantesco e comodissimo alibi per tutte le boiate che fanno
e le fesserie che dicono i ministri giallo-verdi. I quali, non
potendone dare la colpa alle opposizioni (per manifesta inesistenza delle
medesime), hanno buon gioco ad addossarla ai poteri forti, veri o presunti,
italiani e internazionali, e ai loro house organ.
Prendiamo il reddito di cittadinanza:
abbiamo sempre scritto che è una misura sacrosanta per ridurre la povertà,
contrastare e far emergere il lavoro nero (se mai i centri per l’impiego
funzioneranno), regalare un pizzico di dignità a milioni di persone dimenticate
dallo Stato e dagli uomini, forse – si spera – stimolare i consumi. Onore al
merito dei 5Stelle che, riempiendo il vuoto lasciato da una
sinistra per soli ricchi, l’hanno prima proposto e ora imposto contro tutto e
contro tutti. Ma che bisogno c’era di dire – come ha fatto Luigi
Di Maio a Porta a Porta il 25
settembre – “noi con questa manovra di bilancio, in maniera decisa, avremo
abolito la povertà”? Già è imprudente vendersi una legge prima che sia
approvata dalle Camere, firmata dal Colle e stampata sulla Gazzetta
Ufficiale (e il reddito non entrerà in vigore neppure col Def,
ma con una norma che nessuno ha letto né scritto). Ma promettere effetti
iperbolici di una legge che ancora non c’è è proprio da incoscienti.
La povertà non si potrebbe dire
abolita neppure se si avverasse l’utopia pentastellata di distribuire 780 euro
al mese a tutti e 6 i milioni di poveri assoluti. E questo, al momento, rimane
un sogno, a meno che con la povertà non sia stata abolita anche l’aritmetica:
780 per 6 milioni per 12 mesi fa 56 miliardi e rotti all’anno, e al momento ne
sono previsti 10. Un bel progresso, rispetto ai 2 scarsi del reddito di
inclusione del centrosinistra. Ma pur sempre insufficienti per coprire
l’intera platea degli “incapienti”. Basta dirlo: ci stiamo provando, ma
dobbiamo andare per gradi. La verità, alla lunga, paga sempre. Specie dopo 20 anni
di overdose di balle, da B. a Renzi, che
hanno vaccinato gli italiani contro la creduloneria di lunga durata. Invece Di
Maio si affaccia al balconcino, poi annuncia l’abolizione della povertà (fra
l’altro da Vespa, dove i cazzari giocano in casa dal Contratto
con gl’Italiani in poi), infine corre dietro alla propaganda mainstream
e si incasina ad annunciare antidoti inverosimili contro i truffatori che
intascano il reddito senz’averne diritto (“sei anni di carcere!”: figuriamoci,
in Italia non si danno manco per associazione mafiosa).
O lo butteranno in spese voluttuarie (“niente
acquisti immorali!”: come se la Finanza, in un Paese con 10 milioni di
evasori, potesse controllare se uno compra alla coop o da Unieuro,
se beve brunello o tavernello). Il risultato è che una misura seria e giusta
affoga nel ridicolo. E con lei chi l’ha voluta. Infatti il web, cioè il bar
sport 2.0, già pullula di sberleffi come #dimaioabolisce. Fra
annunci e realtà, al momento risulterebbero aboliti, oltre alla povertà (e
dunque alla Caritas), nell’ordine: i congiuntivi e gli spot al
gioco d’azzardo (per davvero), i vitalizi (per davvero, ma solo alla Camera),
le auto blu (per finta), 400 leggi inutili, le Province e gli altri sprechi (a
parole), il redditometro, lo spesometro e le accise (a chiacchiere, come Renzi
col celebre “cucù” a Equitalia), la Fornero
(vasto programma: per ora, forse, si va a quota 100), l’Ordine dei
giornalisti (magari), il Jobs Act e
il precariato (appena solleticati dal dl Dignità), la
corruzione (almeno stando alla legge-slogan “spazza-corrotti”), la prescrizione
(non pervenuta nello spazza-corrotti medesimo), i tecnici-pezzi di merda del Mef
(almeno nei messaggi vocali di Casalino), il lavoro domenicale
(vedremo) e addirittura i morti per incidenti stradali “entro il 2050” (per i
feriti si vedrà).
Ma, siccome l’appetito vien mangiando, fioccano
richieste per altre urgentissime abolizioni: le doppie punte, gli inestetismi
della cellulite, “quella pippa di Di Francesco” (istanza di un
romanista deluso), il fuorigioco (con incorporato reddito di cittadinanza ai
guardalinee disoccupati), il ciclo mestruale (almeno) nei mesi caldi, i semi
nel cocomero e nell’uva, le zanzare, i risvolti dei pantaloni, le mezze
stagioni, la fame e le guerre nel mondo (a Miss Italia lo si
chiede da anni, invano), le calorie, il colesterolo, il reflusso gastrico, le
allergie e le intolleranze alimentari, i principi della termodinamica, la legge
di gravità, i sandali coi calzini (soprattutto bianchi, i calzini), il tartaro
e la placca, la pizza all’ananas, la cena coi parenti a Natale, i peli e la
barba, il cerume, la forfora, gli aggiornamenti di Windows, le
richieste di autorizzazione ai pop-up, gli ingorghi, la fila alle Poste,
i vecchi che guidano col cappello, le promozioni di Poltrone e Sofà.
I divani invece sono aboliti d’ufficio per impedire ai
fannulloni di sdraiarcisi e contemporaneamente percepire il reddito. Alla lista
ci permettiamo di aggiungere: i semafori rossi, gli autovelox, i tutor
autostradali, il jet lag e le cimici verdi puzzolenti. Altre richieste le ha
già anticipate in tempi non sospetti Cetto La Qualunque:
“Aboliremo le bollette di gas e luce, daremo mille euro a persona e cchiù
pilu per tutti. Poi abrogheremo l’Ici!… Ah, è già
stata abolita? E noi la aboliremo di nuovo: abolita due volte!”. Altre ancora
riempiono una strofa de L’anno che verrà di Dalla:
“Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno, ogni Cristo scenderà dalla
croce e anche gli uccelli faranno ritorno”. E una de La cura di Battiato:
“Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti
invecchiare…”. Manca qualcosa? Ah, sì: fra un’abolizione e l’altra, non
guasterebbero quelle dei balconi e dei condoni.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano - 7 ottobre 2018)
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