Mercoledì 6 marzo Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale,
riferendosi al ‘reddito di cittadinanza’, approvato in questi giorni
dal governo, inizia così il suo editoriale: “Oggi è il giorno zero di
uno Stato socialista, speriamo provvisorio”. Sallusti avrebbe una
qualche ragione se si riferisse al Psi dell’ultimo Craxi che violava
princìpi che prima ancora di essere socialisti sono liberali, garantendo
a Silvio Berlusconi, il vero proprietario del Giornale sotto
la maschera del fratello Paolo, una posizione oligopolista nel settore
dell’informazione che è contraria ai princìpi dello stato liberista così
come lo avevano previsto i suoi padri fondatori, da Adam Smith a David
Ricardo, e manteneva un numero sterminato di parassiti, di prosseneti,
di fannulloni, di dame dalla coscia facile, insomma si era trasformato
nel partito “dei nani e delle ballerine” come disse il compagno Rino
Formica.
Ma il craxismo non è il socialismo. Socialismo è coniugare una
ragionevole uguaglianza sociale con i diritti civili e in questo si
differenzia dal comunismo che schiaccia i diritti civili in nome di
un’uguaglianza sociale che là dove si è realizzato, per esempio in
Unione Sovietica, non è stata raggiunta perché anche lì si è creata una
classe politica di privilegiati e di favoriti (la ‘nomenklatura’).
Principio fondante e iniziale del socialismo come del liberismo
correttamente inteso è che tutti i cittadini abbiano pari opportunità
almeno sulla linea di partenza. Per questo il liberismo imponeva tasse
ereditarie altissime che farebbero impallidire i Sallusti, i Berlusconi e
tutti i neo o pseudoliberisti di oggi. Perché non ci sono solo i
fannulloni pronti a sdraiarsi sul divano grazie al reddito di
cittadinanza, ci sono anche, e in misura rilevante, i fannulloni che
sul divano ci sono già da sempre, come tanti figli di ricchi, che
probabilmente anche Sallusti conosce, il cui unico merito è aver
ricevuto una cospicua eredità.
Comunque oggi il problema non è il socialismo, questa ‘terza via’ fra
capitalismo e comunismo che non è riuscita a inverarsi e là dove ha
tentato di farlo, vedi l’attuale Venezuela, è stata strangolata dai
padroni del mondo.
Il problema è il turbocapitalismo globalizzante che sta mettendo in
ginocchio popoli e individui. E’ un capitalismo nemmeno più industriale,
ma finanziario, che non dà lavoro, che non offre lavoro se non a
pochissimi. Un abile finanziere può agire anche da solo, o con uno staff
ridottissimo, lavorando sul denaro che non è ricchezza ma solo
l’apparenza della ricchezza. Il collasso della Lehman Brothers, che ha
messo in ginocchio interi Stati con le loro popolazioni, non ne è che
l’esempio più evidente, ma solo uno dei tanti. Negli Stati Uniti il
problema è stato risolto immettendo nel sistema, nella forma del
credito, 3 trilioni di dollari e creando un’enorme bolla speculativa che
prima o poi, più prima che poi, ricadrà sulla testa di tutti, forse
anche su quella dello stesso Sallusti.
Ma accecato dal suo miope disprezzo per i Cinque Stelle che stanno
cercando di avviare un programma di un minimo di riequilibrio sociale in
un Paese come il nostro in cui le disuguaglianze sono fortissime e,
oserei dire, intollerabili, Alessandro Sallusti queste cose non le vede o
piuttosto conoscendone l’intelligenza non le vuole vedere.
E pensando al giornalismo italiano di oggi, a quasi tutto il
giornalismo italiano di oggi, non certamente al solo Sallusti, viene in
mente un famoso articolo di Karl Kraus, “La stampa come mezzana”,
pubblicato ai primi del Novecento, in cui il celebre scrittore,
aforista, polemista mette sullo stesso piano i giornalisti e le
prostitute. Intellettuali in questo caso.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 7 marzo 2019)
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