Quel che mancava a Piercamillo Davigo per essere acclamato al vertice
 dell'associazione nazionale magistrati glielo ha servito, ovviamente 
senza volerlo, su un piatto di argento Matteo Renzi.
L'attacco frontale del premier alla magistratura come
 reazione ad un'inchiesta che ha coinvolto pezzi importanti del suo 
governo, non poteva che generare un  serrate le fila tra le toghe, 
dissipando i distinguo che pure non mancavano sulla candidatura per il 
vertice dell'ANM, del giudice che dopo la deriva politica di Di Pietro e
 le diverse scelte di Colombo, è rimasto il simbolo di mani pulite, la 
sua quintessenza.
È così oggi quell'elezione c'è stata e per 
acclamazione. Qui al premier suo malgrado e' riuscito il miracolo di 
mettere insieme componenti interne ai magistrati che, come dimostrato 
dagli scontri di oggi sulla composizione della nuova giunta, sono tutt'altro che omogenee.
Ma
 non era stato difficile in sede di analisi, nelle scorse settimane, 
segnalare che già le sole  prime indiscrezioni sulla possibile scelta di
 Davigo, non potevano non far fischiare le orecchie al premier e al partito democratico.
Ora
 con logica consequenzialità dobbiamo domandarci di cosa sia indice, al 
fondo, l'elezione di oggi. Le risposte possibili a bene vedere sono tre,
 molto lontane le une dalle altre ma tutte di grandissima importanza per
 i tempi che ci attendono. 
1. Un prima risposta un po' rassegnata
 e' quella di  chi pensa che sia il segnale di un'Italia eternamente al 
punto di partenza che  non muove dalla palude della corruzione e dagli 
scontri degli anni 90, prima Craxi - Di Pietro oggi Davigo - Renzi. Con 
qualche maggiore ipocrisia di facciata ma con la stessa sostanza.
2.
 C'è chi in una chiave di convinto favore per l'attuale governo e di 
critica per la magistratura, ritiene si tratti della resistenza di 
quest'ultima al mondo che cambia. Un qualche "timore" delle toghe che 
trovi spazio una politica rilegittimata in tesi capace di riformare se' 
stessa , riacquistando così una  centralità nel sistema paese.
3. 
C'è infine chi crede o spera che quella di Davigo sia più semplicemente 
una benvenuta scelta di eccellenza come c'è da augurarsi che avvenga in 
tutti i corpi intermedi e nelle rappresentanze di ogni ordine e grado. 
Qui valorizzandosi anche il rilievo interno al sistema giustizia della 
nomina di Davigo, che è tema niente affatto secondario come ancora una 
volta dimostrato dal feroce scontro consumatosi sulla restante 
formazione della giunta e dall'invero singolare patto di rotazione 
appena annule al vertice.
Come spesso avviene c'è probabilmente 
del vero in tutte e tre le risposte. Quale scenario prevarrà dipenderà 
dalla reale volontà dei protagonisti e da più ampi contesti di sistema 
che trascendono le grandi o piccole beghe di casa di nostra.
Partendo
 dalla prima risposta, se è senz'altro vero che bisogna rifuggire 
qualunquismi e moralismi di maniera e non prendere per oro colato gli 
stessi ricorrenti dati che enfatizzano una specifica inclinazione  
corruttiva italiana, è pero ugualmente innegabile che un quadro politico
 che si è voluto costruire senza alternative, rischia di essere terreno 
propizio per il riaffermarsi di malcostume e patologiche deviazioni 
della pubblica funzione.
Non c'era bisogno di inchieste e 
intercettazioni per sapere quanto inopportuna sul versante di 
un'autentica politica riformista, lontana dai conflitti di interesse,  
fosse la nomina di Federica Guidi in un governo che si dichiarava di 
svolta.
Non c'è da prendersela con la magistratura se si vuole e 
si cerca come perno parlamentare delle riforme il senatore Verdini con i
 macigni in termini di uso personale della politica che esibisce  il suo
 curriculum personale e  di alfiere del peggior stagione berlusconiana.
Ma
 scelte così grossolanamente indifendibili sono potute avvenire per 
l'assenza assoluta di alternativa, ed anche per un clamoroso sonno delle
 coscienze critiche, un pensiero unico che ha prodotto non pochi danni, 
così riproponendosi, sia pur con ingredienti diversi, quella situazione 
bloccata che  finisce con l'affidare (nostro malgrado) solo al controllo
 giudiziario ogni serio contraltare e bilanciamento.
Ci si trova 
così costretti a dire che almeno un contro potere funzioni e si affidi 
ad un guardiano occhiuto e  autorevole come Davigo è  comunque una buona
 notizia.
Certo e' anche vero e in qualche modo riposa nella 
fisiologica competizione tra i poteri, che quello giudiziario avverta un
 sia pur ostentato e a volte un po' parolaio, rialzarsi in piedi della 
politica e anche per questo le toghe vogliano dare una loro risposta sul
 versante rappresentativo e della comunicazione. Magari pure per una più
 forte difesa delle loro esigenze più spiccatamente sindacali a partire 
dalla stucchevole (da ambo le parti) questione della riduzione delle 
ferie. 
E qui si incrocia la terza risposta. Finito il tempo della
 rappresentanza seria ma grigia, è giunto il momento che tutti i corpi 
intermedi si dotino di leader forti, autorevoli come pure la politica, 
al fine ultimo di un virtuoso incontro-scontro tra poteri e funzioni.
Ma
 il tutto a nostro avviso ad una irrinunciabile condizione. Che queste 
forti leadership non siano corporative  a tutti i livelli.Così come 
Renzi ha sbagliato in modo persino grossolano nel porre pur giuste 
questioni sul funzionamento della giustizia ma proprio in rapporto a 
inchieste che riguardavano direttamente il suo governo, e non quando il 
malfunzionamento della macchina giudiziaria si manifesta anche lontano 
dai colletti bianchi, allo stesso modo Piercamillo Davigo nel suo nuovo 
ruolo non darebbe quello che può al paese se non utilizzasse la sua 
autorevolezza e irreprensibilità per riconoscere sul serio ciò che si 
può e si deve riformare anche nelle aule dei tribunali e pure in quelle 
penali. 
E qui anche in un certo uso della funzione inquirente. 
Cominciando dal riconoscere ad esempio che la piaga della prescrizione 
accontenta insieme delinquenti e cattivi inquirenti, i primi lieti 
infine di farla franca, i secondi potendo sempre sfuggire al vero esame 
del processo, dopo i clamori delle fasi cautelari.
Palude da affrontare c'è ne e' tanta e servono buoni stivali ma per farlo credibilmente nei rapporti con gli altri poteri, bisogna saperlo fare anche in casa propria. Altrimenti avremo solo dibattiti più pirotecnici e magari di livello; forse anche nuovi clamorosi processi, ma sempre fermi nello stagno saremo.
Palude da affrontare c'è ne e' tanta e servono buoni stivali ma per farlo credibilmente nei rapporti con gli altri poteri, bisogna saperlo fare anche in casa propria. Altrimenti avremo solo dibattiti più pirotecnici e magari di livello; forse anche nuovi clamorosi processi, ma sempre fermi nello stagno saremo.
Gianluigi Pellegrino (huffingtonpost.it - 9 sprile 2016)
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