Rassicuriamo subito i colleghi di giornali e tv che, a parte il Corriere, sono ancora a caccia della “manina” (grazie per la citazione) che quatta quatta, alla vigilia di Natale, ha infilato l’articolo 19-bis, il SalvaSilvio, e altre amenità nel decreto attuativo della delega fiscale licenziato dal ministero dell’Economia poco prima del suo ingresso nel Consiglio dei ministri del 24 dicembre. Rassegnatevi: la manina è quella di Matteo Renzi. L’ha detto lui stesso al nostro giornale (l’unico che glielo abbia chiesto), con la spudorata franchezza che gli è propria. Il che, intendiamoci, non esime da alcuna responsabilità né lui né i ministri che l’hanno approvato senza proferire verbo: a cominciare dai più diretti interessati, cioè il titolare dell’Economia Padoan e quello della Giustizia Orlando. Resta poi da capire chi, materialmente, abbia scritto il codicillo incriminato (il capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi, Antonella Manzione, non c’entra: dunque è stato uno degli avvocati e giuristi che Renzi dice di aver consultato? E quale? E per caso difende qualche imputato eccellente per delitti fiscali? Dagospia fa il nome di Coppi, che smentisce. Ma un tecnico molto esperto e interessato ci ha lasciato lo zampino). È strepitosa la beota ingenuità dei commentatori governativi, disposti a fare i finti tonti e persino a passare per fessi pur di scagionare Renzi: anche dopo che lo stesso premier le ha confessate.
Signore, è stata una svista. Sentite Stefano Folli su Repubblica: 
“L’operazione era maldestra, tanto maldestra da rendere verosimile che 
né Renzi né Berlusconi fossero i diretti responsabili del pasticcio”, 
anzi della “buccia di banana” messa lì da chissà chi per far inciampare 
l’Infallibile Presidente del Consiglio. La prova? Eccola: “I due 
avrebbero scelto meglio l’argomento e le modalità, se avessero voluto 
mettere a segno un colpo di tale rilievo qual è la riabilitazione 
pubblica del leader di Forza Italia… Nessuno dei due, né il premier né 
il suo semi-alleato del Nazareno, hanno (sic, ndr) il minimo interesse 
oggi a riaccendere i riflettori su una stagione passata… Quindi è 
possibile che la norma, che pure era stata infilata nel decreto, sia 
passata per l’eccesso di zelo di qualcuno, ma senza un coinvolgimento 
politico ad alto livello”. 
Par di sognare: se non fosse stato per i gufi del Fatto Quotidiano, 
che ha raccolto la denuncia del sottosegretario Zanetti sull’abnormità 
della soglia del 3% (non solo di evasione, ma persino di frode), nessuno
 ne avrebbe parlato né l’avrebbe collegata al caso B. (come han fatto il
 nostro giornale e altri due giorni fa): il decreto dello scandalo, 
grazie anche al torpore delle feste, sarebbe approdato alle commissioni 
parlamentari per il visto finale (non c’è neppure dibattito né voto: è 
l’attuazione di una legge delega) e a quest’ora sarebbe già legge dello 
Stato sulla Gazzetta Ufficiale. E B. avrebbe già chiesto l’incidente di 
esecuzione alla Corte d’appello per farsi cancellare la condanna con 
tutti gli annessi e connessi. A quel punto tutti avrebbero recitato la 
parte delle vergini violate: “Oddio, non ce n’eravamo accorti, ma 
purtroppo cosa fatta capo ha, pazienza”. Il guaio di Renzi (e di B.) è 
che esiste ancora qualche sprazzo di libera informazione, che l’ha colto
 con le mani nel sacco. Ora comunque il premier può dire al partner 
Nazareno: “Ehi socio, io ci ho provato, ma i soliti gufi mi hanno 
sgamato”. Dove sarebbe dunque l’“operazione maldestra” e quali 
“argomentazioni e modalità” sarebbero state “migliori” di quelle usate 
da Renzi & C.? Mistero.
   Il Premier ha sempre ragione. Sempre su Repubblica anche Gianluigi
 Pellegrino, in un articolo peraltro severissimo sul contenuto della 
“riforma” fiscale   [leggi qui],
 ipotizza la presenza di misteriose “serpi covate in seno a Palazzo 
Chigi che giocano proprie indicibili partite” all’insaputa del povero 
Matteo, e se la prende con quelli che “non l’hanno avvertito né messo in
 campana”. Anche il Duce era innocente per definizione: la colpa era 
sempre di chi lo circondava e lo mal consigliava. Ragazzi, sveglia: l’ha
 detto Renzi che la norma l’ha fatta Renzi. Fatevene una ragione, è 
andata così.
Lo so, è una parola grossa, ma vogliamo usare la logica? Il governo 
depenalizza scientemente, consapevolmente, alla luce del sole la frode 
fiscale sotto il 3% dell’imponibile dichiarato. Chi vi viene in mente, 
alle parole “frode fiscale”, con tutto quel che è accaduto a terremotare
 la politica italiana nell’ultimo anno e mezzo? Silvio Berlusconi, 
naturalmente, che per una condanna per frode fiscale è decaduto da 
senatore, è divenuto ineleggibile e interdetto dai pubblici uffici, ha 
mollato le larghe intese e il governo Letta, ha subìto la scissione 
dell’Ncd, è finito ai servizi sociali ad assistere i vecchietti a Cesano
 Boscone, ha tempestato Quirinale, governo, Parlamento, giornali, tv, 
Consulta e Corti europee per riavere l’“agibilità politica”. Possibile 
mai che, cambiando le regole della frode fiscale, nessuno si sia chiesto
 che ne sarebbe stato della condanna di B.? Chiunque abbia una laurea in
 Legge o in Economia (dove si studia il Codice penale, che già all’art. 2
 prevede la revoca delle condanne per un reato che non c’è più) sa 
benissimo che, quando si depenalizza un reato, le relative condanne 
vengono cancellate. Ora, Renzi risulta laureato in Legge e Padoan in 
Economia (Orlando in nulla , però ha dato qualche esame di 
Giurisprudenza): possibile che non lo sapessero? E il battaglione dei 
loro consiglieri giuridici che ci sta a fare: la birra? Nella migliore 
delle ipotesi, siamo governati da dilettanti, anzi da ignoranti allo 
sbaraglio.
   L’impronta digitale. Prendiamo sul serio le parole di Renzi al 
Tg5: “Se qualcuno immagina chissà quale scambio, non c’è problema: ci 
fermiamo. Questa norma la rimanderemo in Parlamento solo dopo l’elezione
 del Quirinale e dopo che Berlusconi avrà completato il suo periodo a 
Cesano Boscone, e dimostreremo che non c’è nessun inciucio strano”. 
Delle due l’una. O la norma non è stata fatta per B. anche se salva B. –
 come giura Renzi, appellandosi all’eterogenesi dei fini – e allora non 
si capisce che c’entrino l’elezione del nuovo capo dello Stato e, a 
maggior ragione, la fine dei servizi sociali di B.; ergo abbiamo un governo di cialtroni. Oppure è stata fatta per B. (o anche per B.), e dunque attendere le due scadenze che lo riguardano ha un senso; ma allora abbiamo un governo di bugiardi. In ogni caso, siamo in buone mani.
   Grandi evasori sì, B. no. Sempre a proposito di logica, tutto il 
decreto fiscale (non solo il famigerato 19 bis) è improntato alla più 
selvaggia depenalizzazione delle evasioni e delle frodi. Con una mano il
 governo aumenta alcune sanzioni penali e amministrative, per fingere la
 faccia feroce; ma con l’altra fa in modo che non venga condannato quasi
 più nessuno col trucchetto delle soglie di non punibilità, aggiunte ai 
reati che non le prevedevano e alzandole a quelle che già le avevano. È 
il sistema-droga: chi evade o froda in modica quantità (si fa per dire) 
non finisce più sotto processo. La sintesi di Luigi Ferrarella sul 
Corriere è implacabile   [leggi qui]:
 il decreto rende non punibili “la dichiarazione infedele fino a 150 
mila euro, l’omessa dichiarazione fraudolenta mediante artifici fino a 
30 mila euro di imposta evasa e 1,5 milioni di imponibile sottratto al 
fisco o 5% di elementi attivi indicati, e la dichiarazione fraudolenta 
mediante fatture per operazioni inesistenti fino a 1.000 euro l’anno”. 
Un gigantesco, immondo condono fiscale che salva dal processo e dalla 
condanna quasi tutti gli evasori e i frodatori, anche quelli grandi, 
accontentandosi – quando va bene – di incassare le tasse che non hanno 
pagato (sai che sforzo: evadi tutta la vita e, la volta che vieni 
beccato, rinunci a qualche briciola del bottino, sempreché 
l’amministrazione finanziaria più inefficiente del mondo riesca a 
sfilartela). Nessuno, diversamente che per il 19-bis SalvaSilvio, può 
dire di non averlo saputo. Dov’erano allora i giornaloni, ma anche la 
sinistra Pd, che oggi s’indignano solo perché c’è di mezzo B.? Davvero 
il colpo di spugna per gli evasori grandi, medi e piccoli è cosa buona e
 giusta purché non salvi anche B.? Sarebbe interessante conoscere il 
pensiero del premier, dei ministri, dei partiti e dei giornali che li 
sostengono, ora che il decreto torna indietro per essere modificato 
(molto meglio cestinarlo e riscriverlo daccapo per mandare evasori e 
frodatori in galera).
   Meno male che Silvio c’è. Vien quasi da dare ragione ai 
berluscones, che già intonano il pianto greco: “Si rimangiano il fisco 
giusto. Il governo blocca una norma di buonsenso che depenalizzava la 
microevasione. Motivo? ‘Avrebbe aiutato il Cavaliere’” (il Giornale). È 
triste ammetterlo, ma proprio così, tranne il fatto che la norma non è 
affatto di buonsenso perché non sana la microevasione, ma le megafrodi 
(con le soglie percentuali, più guadagni più puoi evadere impunemente). 
Quanti cattivi pensieri ci tocca scacciare. Compreso l’ultimo, 
l’estremo: che Dio ci conservi B. Senza di lui, il decreto porcata 
sarebbe già legge. E nessuno, a parte noi piccoli gufi, avrebbe detto 
una parola.
Marco Travaglio (Jack's Blog - Il Fatto Quotidiano - 6 gennaio 2015) 

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