Il
 ‘vizio oscuro’ dell’Occidente è, nell’interpretazione di Fini 
(scrittore attivo in Italia dal 1985 con ‘La Ragione aveva Torto?’ in 
cui mette in dubbio gli esiti e le conquiste dell’Illuminismo) la 
pretesa totalitaria delle Democrazie di omologare a sé, alle proprie 
istituzioni, ai propri valori, ai propri costumi, ai propri consumi, al 
proprio modello di sviluppo, l’intero esistente e quindi società e 
comunità che hanno storie, culture, tradizioni completamente diverse. 
L’Occidente non è più in grado di tollerare e nemmeno concepire, 
concettualmente prima ancora che praticamente, ‘l’altro da sé’. Questo 
totalitarismo ‘democratico’ globale non può avere come risposta che un 
altrettale totalitarismo, nelle forme del terrorismo globale.
Scritto
 nel 2002, solo un anno dopo l’11 settembre, ‘Il vizio oscuro 
dell’Occidente. Manifesto dell’Antimodernità’ si è rivelato un libro 
profetico. Dopo l’occupazione dell’Iraq del 2003, l’aggressione, per 
interposta Etiopia, alla Somalia nel 2006/2007, la defenestrazione 
violenta di Gheddafi nel 2011, il tentativo di rovesciare il dittatore 
Assad (tutte operazioni motivate ideologicamente -portare la democrazia 
in Paesi che non la conoscevano- anche se sottotraccia c’erano 
certamente anche interessi economici) è nato l’Isis, forse il più 
preoccupante fenomeno, per l’Occidente, dalla fine della seconda guerra 
mondiale, formazione di guerriglia cui accorrono ‘foreign fighters’ da 
tutto il mondo, mentre una parte dell’Africa è in rivolta contro di noi,
 dagli shebab somali, al nord Mali, al nigeriano Boko Haram che 
significa letteralmente “l’educazione occidentale è peccato”. Ma tutto 
ha inizio, secondo l’Autore, con l’invasione e l’occupazione 
dell’Afghanistan della fine del 2001 senza alcuna motivazione plausibile
 se non quella, meramente ideologica, di togliere di mezzo con la 
brutalità dei bombardieri e dei droni il tentativo del Mullah Omar di 
conservare, dopo dieci anni di devastante occupazione sovietica, le 
tradizioni del proprio Paese senza peraltro rifiutare alcune, poche, ma 
indispensabili conquiste della Modernità.
‘Sudditi.
 Manifesto contro la Democrazia’, scritto a seguire, solo due anni dopo 
(2004), si lega strettamente a ‘Il vizio oscuro dell’Occidente. 
Manifesto dell’Antimodernità’. La Democrazia ha tradito sé stessa o, per
 essere più precisi, il pensiero liberale da cui è nata, che intendeva 
valorizzare meriti, capacità, potenzialità dell’individuo mentre si è 
ben presto trasformata in un sistema di oligarchie, politiche ed 
economiche, di aristocrazie più o meno mascherate, di lobbies che 
opprimono e schiacciano il singolo che non accetta di degradarsi a 
questi umilianti infeudamenti e che sarebbe il cittadino ideale di un 
democrazia se esistesse davvero e ne diventa invece la vittima 
designata. Questa degenerazione della Democrazia è particolarmente 
evidente in Italia (peraltro Paese laboratorio: qui nacque, fra il 1200 e
 il 1400, la classe dei mercanti, preludio al sistema capitalistico di 
mercato; qui nacque il fascismo, padre di tutti i totalitarismi di 
destra europei) ma sta contagiando anche le altre democrazie. Persino 
negli Stati Uniti la leadership sta assumendo un carattere dinastico 
come ai tempi delle monarchie europee: prima Bush padre, poi Bush 
figlio, prima Clinton marito, poi, probabilmente, Hillary o Jeb Bush. Ma
 la Democrazia, nella visione di Fini, non è che l’involucro, più o meno
 luccicante, che avvolge la polpetta avvelenata: il modello di sviluppo 
economico che partito dall’Inghilterra a metà del XVIII secolo ha ormai 
egemonizzato, con una vorticosa cavalcata durata due secoli e mezzo, 
quasi l’intero pianeta e che oggi, con la globalizzazione, sembra 
arrivato alla sua piena maturazione. Un modello di sviluppo paranoico 
che si basa sulle crescite esponenziali, che esistono in matematica ma 
non in natura. Per cui l’uomo, degradato a consumatore, è 
costretto –per l’intrinseca necessità del modello- a non avere mai un 
momento di pace, di quiete, di armonia, perché raggiunto un obiettivo 
deve immediatamente inseguirne un altro e poi un altro ancora, salito un
 gradino a farne un altro e un altro e un altro in una scalata che non 
ha fine se non con la sua morte. E’ un sistema che ha come molla 
dominante l’invidia come afferma esplicitamente, ma dandogli un 
connotato positivo, Ludwig von Mises uno dei più estremi ma anche 
coerenti teorici dell’industrialcapitalismo.
Per certi versi il pensiero di Fini si avvicina a quello dei libertarians americani
 che vorrebbero affrancare totalmente l’individuo dallo Stato e in 
pratica abolirlo (“Lo Stato? Il più freddo di tutti i mostri” scrive 
Friederich Nietzsche) ma se ne differenzia radicalmente perché il suo 
punto di arrivo non è la libertà economica (c’è anche quella nella sua 
filosofia) ma piuttosto il benessere esistenziale. In Europa a metà del 
1600, un secolo prima del take off industriale, i suicidi erano 2,6 per 
100 mila abitanti, a metà dell’Ottocento erano saliti a 6,9, triplicati,
 oggi sono 20 per centomila abitanti, decuplicati (sarebbe interessante 
una statistica del genere negli Stati Uniti, tenendo conto ovviamente 
delle differenze perché l’America è un Paese che nasce in pratica a 
cavallo della Rivoluzione industriale e quindi non sono possibili 
raffronti con un passato precedente), l’alcolismo di massa nasce con la 
Rivoluzione industriale, nevrosi e depressione sono malattie della 
Modernità che colpiscono, all’inizio del Novecento, prima i ceti 
benestanti e in seguito dilagano nell’intera società, il fenomeno 
inarrestabile della droga è sotto gli occhi di tutti.
Massimo
 Fini non pretende di avere la Verità in tasca. Pone delle domande, 
insinua dei dubbi, invita a rivedere certe nostre confortanti certezze 
e, più in profondità, a riflettere sulla condizione dell’uomo 
occidentale.
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