Chi segue questa rubrica sa che io mi batto da anni contro i reati di
 opinione che sono in gran parte un retaggio del Codice fascista di 
Alfredo Rocco. In una democrazia i reati di opinione non dovrebbero 
avere diritto di cittadinanza.
Adesso Francesco Storace è a processo per 'vilipendio del Capo dello 
Stato' avendo definito 'indegno', a suo tempo, il comportamento di 
Giorgio Napolitano . In seguito il leader della Destra si è scusato con 
il Presidente che l'ha 'perdonato'. Ma questo dal punto di vista 
giuridico non vuol dire nulla, perché non siamo nel diritto iraniano, 
dove il perdono della vittima estingue la pena, siamo ancora, bene o 
male, nel diritto italiano. Storace ha ricevuto una valanga di attestati
 di solidarietà, «da Gianfranco Fini a Vladimir Luxuria, da Silvio 
Berlusconi a Roberto D'Agostino». Sacrosanto, a parte la qualità dei 
personaggi 'scesi in campo' a difesa di Storace. Ma la telefonata più 
sorprendente Storace l'ha ricevuta dal ministro della Giustizia Andrea 
Orlando che vedendo su twitter l'hashtag #iostoconstorace (questi 
ministri, come il loro premier, passano delle ore davanti ai social 
network) ha sentito il bisogno di scusarsi con lui. Ora, un ministro 
della Giustizia non può scusarsi con un imputato che è a processo 
secondo le leggi dello Stato italiano che lui stesso, in questo caso più
 di ogni altro ministro, rappresenta. Così come (è il caso 
Napolitano-Mancino a proposito della presunta 'trattativa Stato-mafia) 
un Presidente della Repubblica non può intrattenersi a colloquio con 
un'imputato su questioni che riguardano il suo processo. Al massimo, ed è
 già tanto, può augurargli 'buon Natale' se si è in periodo di 
festività.
Il fatto è che sono saltate tutte le regole in questo straordinario 
Paese dove un detenuto molto speciale, e molto poco detenuto, può 
incontrare il capo della seconda Potenza mondiale (immagino che non si 
siano limitati a parlare solo di calcio-balilla).
Svegliandosi da un lungo letargo in materia anche Pierluigi Battista 
si è accorto che i reati di opinione sono una aberrazione in una 
democrazia degna di definirsi tale e sul Corriere del 21/10 scrive: «I 
reati di opinione sono una triste eredità del fascismo che la democrazia
 repubblicana e antifascista non ha mai voluto mettere in soffitta». 
Peccato che Battista, e tutti i Battista, non abbia emesso un guaito di 
disapprovazione per una norma liberticida varata in piena 'democrazia 
repubblicana'. Mi riferisco alla cosiddetta 'legge Mancino' che punisce 
con la reclusione fino a tre anni «chi diffonde in qualsiasi modo idee 
fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico...alla stessa 
pena soggiace chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o 
metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche». E' una 
legge chiaramente liberticida che supera quelle dei peggiori 
totalitarismi perché arriva a punire anche l'odio, che è un sentimento 
e, come tale, incomprimibile. Ed invece è stata salutata, da Battista e 
da tutti i Battista, come un insigne esempio del 'democratilly correct'.
Recentemente la Cassazione ha ribadito la condanna di due ragazzi che
 durante una manifestazione di Casa Pound «avevano urlato in coro 
'presente' e fatto il saluto romano». La Cassazione ha visto in questi 
gesti 'rigurgiti di intolleranza'. A me pare che l'intolleranza stia 
proprio dall'altra parte, quella democratica.
Scrive Battista, a proposito del 'caso Storace': «Prevale la 
malcelata soddisfazione per i guai giudiziari di un avversario 
politico». A me non pare proprio. Quella politica è l'unica, vera, 
classe rimasta su piazza. E si autotutela. Storace, in un modo o 
nell'altro, se la caverà, giustamente. A volare in questo Paese sono 
solo e sempre gli stracci.
Massimo Fini (Il Gazzettino, 24 ottobre 2014)
Aspettiamo il 21 novembre..
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