A Matteo Renzi non piacciono i pensierosi, i 
lumaconi, i logorroici, i patiti dell’inchiostro. È il dubbio il suo 
vero nemico. Potesse, lo farebbe a fette come usa con la finocchiona. 
Pane e salame e gnam! “Gli intellettuali sono come quei pensionati che 
stanno lì a osservare il cantiere appena aperto e a mugugnare: non ce la
 si fa”. “Intellettuali dei miei stivali!” imprecò Bettino Craxi e fu il
 timbro della sua marcia, il valore della rottura, il segno che i tempi 
erano definitivamente cambiati. Due giorni fa Matteo ha ritwittato. Tale
 e quale. Tolto Baricco, che ha ritmo nelle vene, e forse La Pira nel 
Pantheon restano Eataly e le Officine bresciane. Il fare, fare bene e 
fare presto. Da Farinetti mangi tutta la pasta che vuoi, come la vuoi, 
seduto in poltrona o sul trespolo, con la spesa arrotolata tra le mani o
 in tailleur elegante. Di Brescia anche Fabio Volo, che fa il dj e lo 
scrittore, intanto due lavori e non uno solo, ed è allegro, divertente, 
con una prosa fluida, piena di metafore, come piace al tempo che piace a
 noi tutti. Pif già un po’ meno, con la mafia è divenuto più 
crepuscolare.
 
Matteo è ipercinetico, quindi è nella sua natura sviluppare col 
movimento un pensiero un po’ random. Potrebbe mai Gustavo Zagrebelsky 
coordinare un tavolo della Leopolda sulla Costituzione ? Sai che noia. I
 tavoli sono circolari e chiassosi, creativi, pieni di energia. E sono 
pieni di cose da fare e da dire tutti insieme. La discussione è serrata,
 i tempi degli interventi definiti, i documenti finali asciutti e 
colorati. E mentre loro parlano e decidono è tutto un circolare, un 
flusso enorme che dà vigore alla fatica breve della creazione. Semmai 
poi si vede com’è venuta. Renzi è certo che se avesse dato ascolto ai 
professoroni la riforma costituzionale sarebbe ancora alla pagina uno. 
Invece lui disse: per l’8 agosto voglio che il Senato chiuda in 
prima lettura il testo. L’8 agosto, non il 9 e nemmeno il 10. E così è 
stato. Proprio così. Leggere adesso cosa c’è scritto è spigolare, 
cavillare, rincretinirsi sui dettagli e perdere di vista l’obiettivo: 
fare. Fare, con la maiuscola. Esiste la legge del Fare e si chiama lo 
Sblocca Italia. In quel decreto sono rimosse tutte le attitudini alle 
lungaggini, i sentieri storti delle ostruzioni, le bagattelle tra 
paesaggisti, storici dell’arte, archeologi e sovrintendenti. Già la 
parola “Sovrintendente” gli dà noia: “È una cosa ottocentesca”. I 
sovrintendenti sono anche permalosi. Far guidare a Salvatore Settis il 
tavolo del Paesaggio sarebbe come darsi una mazzata sui piedi. Qui non è
 solo e non è tanto questione di gufaggine (e magari il professore porta
 anche iella di suo) è proprio il modo di vedere il mondo, vederlo 
crescere anche in senso quantistico. Fare un’autostrada per esempio. E 
farla veloce, approvarla e vederla costruita senza tante storie. 
Renzi è contrario al tempo che scorre. Lui l’anticipa sempre. “Il 
futuro è solo l’inizio” ha fatto scrivere come slogan. Cosa vuol dire? 
Intanto suona bene, chiama tutti alla corsa, a stare davanti e non 
indietro, a creare e non a distruggere. I pensierosi distruggono. Alla 
Leopolda c’era infatti solo chi “crea lavoro”. Quindi gli imprenditori .
 Agli operai ha concesso una saletta riservata e mezz’ora di colloquio. 
Loro perdono il lavoro. Chi crea il lavoro? Chi ha i soldi, elementare 
Watson. Tra Davide Serra e Giacomo Leopardi predilige di gran lunga il 
primo, altro che giovane favoloso il poeta di Recanati. Matteo è contro 
l’immateriale, il metafisico. Odia la paura (e i paurosi) i pessimisti, i
 cavillosi. Figurarsi i filologi. “A me sembra Plafagone, il servo che 
ottenuto il comando spadroneggia in casa”, lo disprezzò un giorno 
Luciano Canfora, un altro dei professoroni (al proposito la meravigliosa
 confidenza della ministra Boschi a Zagrebelsky: “Abbiamo usato quella 
parola per ragioni mediatiche”). 
Renzi è un concretista che deve 
salvare l’Italia, farla rinascere e soprattutto farla contare nel mondo.
 E questo in breve tempo. Perciò una riforma al mese disse a gennaio, e 
al massimo nei cento giorni, garantì a giugno. A luglio, passo dopo 
passo, i giorni si son fatti mille. Alla stazione Leopolda ha aggiustato
 il tiro: tirerà la carretta solo fino al 2023. Al massimo, s’intende. 
Matteo, come vedete, si mangia il tempo. Lo rincorre, lo azzanna, e 
infine lo schianta. 
Antonello Caporale (Iack's Blog - Il Fatto Quotidiano - 28 ottobre 2014)  
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