“Presidente”, chiese pressante il giornalista, “ci può
fare un breve resoconto degli sviluppi del suo settore e dei problemi
ancora aperti?”
Di buon grado il Presidente cominciò:
”Qualche considerazione generale su un settore molto
importante nel nostro paese (e non solo) è d’uopo. Si è infatti
attenuata l’attenzione mediatica innescata dalle sofferte vicende
vissute lo scorso anno. Esse hanno rappresentato l’epilogo annunciato di
una situazione di difficoltà, protrattasi per lungo tempo.
Un settore che sul finire del secolo scorso, sfruttando
nuovi canali di comunicazione e seguiti sempre più nutriti, ha
registrato una crescita ragguardevole in termini di volumi e di ricavi
(sostanzialmente triplicati in quel periodo). Ciò induceva a pensare a
uno sviluppo inarrestabile, considerato pure il numero di operatori
iscritti agli albi ufficiali, ben più alto della media degli altri paesi
europei.
Il comparto, però, nella fase di maggior crescita, non ha
effettuato i necessari interventi per rafforzare il grado di
patrimonializzazione né realizzato idonei investimenti per migliorare la
competitività anche nel confronto internazionale. Non ha rinnovato
neanche gli assetti di governo societario (non
rari i casi di nepotismo e familismo amorale), i modelli di business
(talora condizionati da forme di campanilismo esasperato e altre
turbolenze), le infrastrutture ivi comprese quelle tecnologiche, le
competenze manageriali.
Inoltre non ha prestato attenzione all’aumento dei costi
di funzionamento e al conseguente drastico effetto sulla redditività.
Poco efficaci sono stati i richiami a una più prudente gestione
finanziaria e le iniziative volte a limitare le conseguenze di una
connaturata asimmetria informativa, derivanti anche dalla presenza in
bilancio di asset di non immediata e facile valutazione, e fenomeni di “azzardo morale”.
La corsa è proseguita, nonostante alcune situazioni di
difficoltà e contraccolpi sull’opinione pubblica rivenienti da ben noti
episodi di cattiva gestione dei primi 2000, per certi incroci societari
non proprio pertinenti. Il settore ha iniziato la sua parabola
discendente a partire dal 2007. Le performance sono peggiorate
progressivamente. I bilanci hanno registrato il forte degrado degli
attivi e perdite significative. Piccoli e fedeli azionisti di società
anche quotate in borsa, hanno visto la loro quota svalutarsi. I fruitori
dei nostri servizi si sono allontanati delusi e arrabbiati. Non sono
mancate condotte fraudolente di qualche Presidente con inchieste e
procedimenti giudiziari.
Il numero di operatori in difficoltà è aumentato e alcuni
di essi, anche di grandi dimensioni, sono stati acquisiti da soggetti
esteri. Si è innescato un processo di colonizzazione e di
marginalizzazione internazionale.
Lo stato di difficoltà è sotto gli occhi di tutti,
soprattutto dopo le vicende meste e dolorose dello scorso anno. Queste
ultime potremmo definirle una “esplosione di sofferenze”.
”E”, aggiunse, “forse anch’io avrei dovuto controllare meglio.”
“Presidente”, lo interruppe il giornalista con aria imbarazzata.
“Ma…ma io non gli ho chiesto di parlare di banche. Perché mi sta
parlando di banche? Non capisco!”“Ma io, mio caro, non le sto affatto parlando di banche!” Replicò con prontezza il Presidente. “Che c’entrano le banche? Non ha capito che sto parlando di calcio? Provi a mettere nomi e riferimenti concreti alle mie generali affermazioni e si convincerà che io di calcio le ho parlato. E anche della necessità di rivedere radicalmente un modello non più sostenibile, salvo che non si voglia assistere a nuovi fallimenti. Io di banche non so niente. Io sono l’ex Presidente della FIGC. Mica l’ex Presidente dell’ABI. Se poi anche l’altro settore è nel pallone, che cosa posso farci?”
Voi sapreste riconoscere i fallimenti del mercato sportivo ai quali allude l’intervistato? Quelli del mercato bancario sono fin troppo noti.
Luca Pitti (Economia & Finanza Verde)
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