Mai come in questo periodo storico, in Italia ma non solo in Italia
(si pensi a Donald Trump che sotto le elezioni di middle term è stato
indotto a prendere decisioni che non riteneva le più efficaci ma le più
popolari) la democrazia rappresentativa dimostra la propria debolezza e i
propri limiti strutturali, come regime adatto a governare un Paese.
Il politico, meglio l’uomo di Stato, dovrebbe pensare in grande
stile, avere una visione che va al di là del proprio naso, lungimirante,
che copra perlomeno i quattro o i cinque anni del suo mandato. Ma
anche se avesse queste doti non può esercitarle. Oggi oltre alle
elezioni politiche ci sono quelle amministrative, comunali e regionali,
quelle europee e, per non farci mancar nulla, i sondaggi più o meno a
scadenza mensile. L’uomo politico, anche quello in teoria valido, in
presenza di una qualsiasi di queste elezioni è quindi costretto a
prendere decisioni sull’“hic et nunc” che gli possano garantire maggior
consenso anche nella prospettiva di quelle successive, ma che non è
affatto detto che siano le più efficaci.
C’è modo di limitare questa debolezza? In parte sì. Bisognerebbe
accorpare le amministrative nello stesso giorno e non come ora per cui
un mese si vota in Abruzzo, un mese dopo in Sardegna, un altro, poniamo,
in Piemonte, un altro ancora in Lombardia, e farle svolgere negli
stessi giorni in cui si tengono le elezioni politiche. Una cosa similare
dovrebbe essere fatta per i singoli Stati dell’Unione europea, in cui
almeno le elezioni politiche dovrebbero tenersi tutte nello stesso
periodo. Perché un’elezione, poniamo in Polonia, può influenzare e
condizionare le elezioni di altri Paesi, tanto più perché nel Parlamento
europeo agiscono gruppi che non sono omogenei con quelli dello Stato di
appartenenza. Infine bisognerebbe eliminare i sondaggi perché
influenzano surrettiziamente l’elettorato e quindi anche l’uomo politico
che all’elettorato deve rispondere. Inoltre i parlamentari che agiscono
all’interno dei partiti, e questo in Italia lo vediamo benissimo, si
spostano dall’uno all’altro gruppo non secondo una coerenza ideale o
ideologica ma per la propria convenienza personale. Per cui per evitare
che siano di fatto i segretari di partito o il loro entourage a imporre i
candidati, con tanti saluti alla libertà dell’elettore, non era poi
così strampalata la proposta di Beppe Grillo di ricorrere al sorteggio.
La democrazia diretta eliminerebbe alcuni dei limiti e delle storture
di quella rappresentativa? In teoria sì, nella pratica no. La
democrazia diretta può essere esercitata solo in un ambito ristretto
(non a caso Rousseau l’aveva immaginata a Ginevra che allora aveva circa
100.000 abitanti) dove l’elettore agisce sul suo, cioè sa su che cosa
deve decidere. Ma in una democrazia diretta universale, globale,
utilizzando gli strumenti della tecnologia digitale, come l’aveva
immaginata Gianroberto Casaleggio, l’elettore sarebbe chiamato a
decidere su cose di cui non sa nulla.
Per la verità una democrazia diretta, ristretta a una comunità ben
precisa, è esistita in epoca preindustriale. Nella società del villaggio
l’assemblea dei capi famiglia, in genere uomini, ma anche donne se il
marito era morto, decideva su tutto ciò che riguardava il villaggio.
Scrive lo storico francese Soboul: “Le attribuzioni delle assemblee
riguardavano tutti i punti che interessavano la comunità. Essa votava le
spese e procedeva alle nomine; decideva della vendita, scambio e
locazione dei boschi comuni, della riparazione della chiesa, del
presbiterio, delle strade e dei ponti. Riscuoteva ‘au pied de la taille’
(cioè proporzionalmente) i canoni che alimentavano il bilancio
comunale; poteva contrarre debiti ed iniziare processi; nominava, oltre
ai sindaci, il maestro di scuola, il pastore comunale, i guardiani di
messi, gli assessori e i riscossori di taglia”. Un’altra importante
attribuzione dell’assemblea si aveva in materia di tasse reali, era
infatti l’assemblea che ne fissava la ripartizione all’interno della
comunità e la riscossione. Insomma la democrazia è esistita quando non
sapeva di essere democrazia.
Questo sistema, che aveva funzionato benissimo per secoli,
s’incrinerà in Francia proprio alle soglie della Rivoluzione francese
quando sotto la spinta degli interessi e della smania di
regolamentazione dell’avanzante borghesia un decreto reale del 1787
introdurrà il principio secondo il quale non era più l’assemblea del
villaggio a decidere direttamente ma attraverso l’elezione di suoi
rappresentanti. Era nata la democrazia rappresentativa. Quella che
viviamo attualmente e che democrazia non è e non è mai stata ma è
formata da oligarchie o poliarchie, come le chiama pudicamente
Sartori, in cui delle minoranze dominano sulla maggioranza dei cittadini
e che, in linea di massima, non sono legittimate da nulla se non dalla
potenza del denaro.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2019)
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