È un vero peccato che Licio Gelli non
sia più tra noi. Sarebbe davvero entusiasta, dopo quarant’anni di calunnie, di
questa riabilitazione, purtroppo postuma, del suo mitico Piano di Rinascita
Democratica. Aveva sperato in Craxi, Andreotti e Forlani, ma gli
era andata male: il Caf aveva orizzonti più prosaici che la Grande Riforma
della Giustizia. Si accontentava di rubacchiare e/o di mafiare sperando di
farla franca, e alla fine nemmeno ci riuscì (a farla franca). Poi aveva puntato
tutto su B., ma anche quello ben presto lo deluse: era troppo impegnato a non finire in galera
depenalizzando i suoi reati, allungando i suoi processi e dimezzando la
prescrizione, per perder tempo a diventare il Grande Architetto della
Giustizia. Gli piaceva molto D’Alema, che
con la Bicamerale e la bozza Boato ce la stava per fare: “Dovrebbero versarmi
il copyright, sono tutte idee mie, solo che a me davano del golpista”,
confidò gongolante nel 1997 al sottoscritto. Ma anche quella preziosa occasione
sfumò, e sempre a causa del confratello Silvio, che la fece saltare sul più
bello perché i “comunisti” non volevano dargli pure l’amnistia. Quando arrivò Renzi, che sarebbe stato perfetto col suo
bel progettino costituzionale per dare tutto il potere a un uomo solo al
comando e svilire il Parlamento a cameretta di nominati dalla Casta e con la
sua riabilitazione di Tangentopoli
(“Mani Pulite fu barbarie giustizialista”), il sor Licio se n’era già andato.
Ma ne sarebbe rimasto deluso anche stavolta: a lui piacevano i vincenti, e
Renzi era un perdente nato. Infatti perse tutto: referendum, governo, amministrative,
politiche e faccia.
Ma proprio ora che l’eterno
sogno autoritario piduista pareva definitivamente tramontato, ecco la svolta.
Il Pd che doveva derenzizzarsi si rirenzizza in articulo mortis.
Due dei tre candidati alla segreteria – Martina e Giachetti – erano
in prima fila, l’altroieri al Lingotto di Torino, a spellarsi le mani per la
sceneggiata del figlio di Tiziano
e Lalla (momentaneamente agli arresti), mentre questo caso
umano itinerante sparava sui pochi magistrati e i pochi giornalisti che osano
ancora indagare su chi è e da quali lombi discende. Martina, nella sua mozione
congressuale, vuole la separazione
delle carriere fra giudici e pm, copiata paro paro dal Piano di Gelli e dai programmi di Craxi e
B. Giachetti fa di più e dichiara che, da buon ex radicale, “sulla giustizia la
penso come B. da vent’anni”: basta con “lo strapotere dei pm”, carriere
separate fra chi indaga e chi giudica, anche se fanno lo stesso mestiere di cercare la verità.
Che poi è da sempre il vero terrore della Casta.
Se si scoprisse mai tutta la
verità, si salvi chi può: in manette non ci finirebbero solo Formigoni e la
Sacra Famiglia di Rignano,
ma una processione di politicanti, prenditori e magnager che rubano e/o mafiano
da una vita. Non che in questi anni la Procure abbiano dato gran noia a
lorsignori, anzi: la controriforma Castelli-Mastella che ha accentrato il potere in mano a
un pugno di procuratori e il Csm napolitan-renzizzato che ha epurato i pm
importuni hanno riesumato i vecchi cari porti delle nebbie e delle sabbie. Ma
purtroppo qualche scheggia impazzita qua e là ha continuato a curiosare dove
non doveva. E a scoprire il marciume, che tracima anche dove si tenta con tutte le
forze di nasconderlo sotto i tappeti. Trattativa Stato-mafia, Expo, Mose, Etruria, i 49 milioni della Lega, Consip, grandi opere, i Renzis. Ora è bastato che in pochi giorni si chiudesse il
processo Formigoni sul più grave scandalo di corruzione nella sanità degli
ultimi 25 anni e finissero ai domiciliari Tiziano & Lalla perchè la Banda
Larga rientrasse in fibrillazione, atterrita dall’incubo che l’attanaglia dal
‘94: una nuova Mani
Pulite. Prospettiva fantasiosa, per chiunque sappia come son
ridotte le Procure. Ma la parola “arresti” in prima pagina, per chi ha una coda
di paglia lunga come il tunnel del Tav, ridesta brutti ricordi. Infatti, in automatico,
l’on. avv. berlusconiano Sisto è corso a depositare un ddl per separare le
carriere. E subito, come le api sul miele, gli sono corsi incontro i pidini
renziani, che parevano estinti e invece erano solo nascosti in attesa di tempi
migliori e ora adescano la Lega (quella che a giorni alterni chiamano fascista)
per una bella Unione Sacrée con FI e contro il M5S, pro-affari e anti-giudici.
l fatto poi che un politico
condannato a soli 5 anni e 10 mesi per appena 6,6 milioni di tangenti e 200
milioni di euro pubblici regalati alla sanità privata entri in galera senza la
certezza di uscirne dopo un paio di giorni, alla Previti,
incrementa il terrore. Infatti i giornaloni di regime, anziché raccontare
perché è giusto che un supercorrotto sconti la pena come in qualunque paese
civile, partecipano al lutto nazionale della Casta e maledicono la legge
Anticorruzione del ministro Bonafede che rischia di scongiurare, almeno per lo
scandalo formigoniano, il classico esito a tarallucci e vino. Anche quelli un
tempo schierati dalla parte della legalità, come Repubblica,
che lacrima come una vite tagliata perché un ladrone patentato “finisce in
carcere a 72 anni” (orrore, disgusto, raccapriccio!); e sostiene addirittura
l’incostituzionalità della Spazzacorrotti
perché qualcuno vuole applicarla anche a chi è stato condannato per reati
commessi prima e a chi ha compiuto 70 anni. E questa sarebbe “la peggiore
giustizia, quella ‘esemplare’”. Scemenze che un tempo leggevamo sul Giornale
(e ancora le leggiamo, a firma di Claudio Brachino, quello che sputtanò su Canale5 il
giudice Mesiano del caso B.-Mondadori per i calzini turchesi) ora escono in
stereofonia anche su Repubblica. Ditemi voi se non è
un’ingiustizia che Licio Gelli, dopo tante amarezze e incomprensioni, non possa
godersi la meritata rivincita.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 24 febbraio 2019)
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