A
molti, quando mi chiedono che fai oggi nella vita rispondo con convinzione: “cazzeggio”.
A tanti la risposta suscita immediata ilarità, altri ritengono inadeguata l’espressione usata, ma quando vado a spiegare meglio cosa intendevo dire veramente, riscontro in loro un cambiamento e un certo interesse; spesso vedo anche nascere un po’ d’invidia.
“Cazzeggio”, nel caso, è poter scegliere liberamente e decidere ogni momento del tuo tempo; rendendo facoltativo il dover cogliere occasioni o rimanere tranquilli a osservare, aspettare e magari rinunciare a qualcosa che presuppone un eccessivo inutile impegno che, in fondo, non vale la pena.
Analoghe considerazioni emergono quando, nella mia passione per la fotografia, esalto il “Fattore C”. Un elemento che ci accompagna con costanza e condiziona, in ogni campo, le nostre brevi esistenze.
Non mi dilungo sulle mie dissertazioni ma certo è che per raggiungere ogni traguardo ci vuole una buona dose di fortuna; nelle opportunità, nella salute, nel lavoro, negli incontri e chi più ne ha più ne metta.
Paradossalmente, se ci pensiamo per un attimo, occorre già partire dal fatto che c’è già voluta tanta fortuna a quell’inconscio spermatozoo che, tra milioni, è riuscito a fecondare, a consentirci la trasmissione del “dna” familiare, a continuare la missione di perpetuare la specie.
Occorre pertanto avere sempre consapevolezza di tutto quanto c’è nel nostro bicchiere mezzo pieno; forse basterebbe a far comprendere e meglio valutare lo status di ciascuno; specie ai più fortunati.
Mi rendo conto di come in campo artistico la maggior parte della gente così detta “impegnata”, che ha o ha avuto riconosciuti dei meriti, non accetta di buon grado la cosa, ritendendo la fortuna un fattore alquanto riduttivo.
Di regola questi sostengono che la casualità non c’entra per nulla con i loro traguardi, che la creatività che li contraddistingue li porta sempre ai risultati “voluti” e “certi”. Ciò può valere magari per creatività programmabili, per assemblaggi meccanici, per realizzazioni ingegneristiche, fotografie di marketing, di still life, ma mai nei casi che vanno a catturare attimi fuggenti.
Comunque, imbarcarsi in discussioni con soggetti “convinti”, che non potrai mai intaccare in confronti aperti, costituisce solo tempo sprecato.
Meglio tornare al più rilassante “cazzeggio” e continuare a cercare divertimento nelle cose che intrigano e che io pratico con diletto.
Capita quindi di avere segnalato un evento e quando l'indicazione arriva da una persona come Pippo Pappalardo è difficile non tenerne conto.
Nel caso in ispecie, si trattava dell’inaugurazione della mostra intitolata "Strade senza ritorno", una personale fotografica di Roberto Strano, arricchita con contributi di Pippo e incentrata su un tema inusuale e alquanto difficile.
Chi segnalava la mostra e la particolarità della tematica che riguardava tragicità connesse all'infortunistica stradale intrigava di per sé e per soddisfare la curiosità occorreva quindi partecipare all'inaugurazione.
Nella circostanza ho avuto modo di conoscere l'affabile autore che, con disponibilità, ha pure dedicato tempo ai visitatori intervenuti, raccontando curiosità e aneddoti sull'origine della sua mostra; riferiva anche dell'inaspettato contributo spontaneo pervenutogli da Pippo Pappalardo che, con dei suoi originali e intensi scritti, suscitati dalla preventiva visione delle foto che sarebbero state esposte, sottolineava il messaggio di certe immagini.
Le fotografie esposte, richiamavano le vecchie regole di stampa di un tempo, e l’ottima fattura rafforzava i contenuti intensi, crudi, tragici, mai speculativi e, soprattutto, belli: le fotografie non costituivano solo documenti rappresentativi d’incidenti, ma andavano ben oltre.
Le tragedie dell’infortunistica stradale, era rappresentata con efficacia in ogni sua forma, con evidenze esplicite di morti e con scene allusive che mantenevano la morte nascosta, latente.
L’osservazione evidenziava un certo parallelismo con delle scene di guerra, in questo caso non dichiarate, ma che ci accompagnano quotidianamente.
La sintesi dell'articolato scritto di Roberto Strano, in brevi frasi riportate in quarta di copertina, concettualizza al meglio il significato della difficile operazione.
Riporto di seguito i testi citati:
"Ho sempre creduto nella forza delle immagini". "Mi sono sempre chiesto se fosse etico raccontare il dolore". "Ho sempre cercato di non spettacolarizzarlo, di raccontarlo con rispetto, con la speranza di scuotere la coscienza dell'uomo". "Il giorno che non crederò più in tutto ciò smetterò di fotografare".
L’intero progetto è un esempio di come la fotografia può essere vissuta e come l’arte visiva può efficacemente raccontare, molto più di tante parole.
Una curiosità finale: lo spazio espositivo della mostra era Il “Centro internazionale di fotografia”, fortemente voluto e curato da Letizia Battaglia, lo stesso ambiente che aveva appena finito di accogliere la notevole mostra di Josef Koudelka incentrata sulla fine della “primavera" di Praga: “Invasion Prague '68”. I tanti lenzuoli che coprivano i cadaveri degli incidentati rappresentati da Strano richiamavano molto i morti ammazzati di mafia immortalati nei suoi scatti da Letizia.
Senza voler, in alcun modo, inficiare la valenza e lo spessore del progetto realizzato da Roberto Strano, con immagini prive di spettacolarizzazione ma proposte con un taglio altamente artistico, la strana (per l’appunto) combinazione/coincidenza d’incontri, luoghi, fatti e persone ……. mi ha portato a riflettere e a ripensare, qualora ne avessi avuto ancora bisogno, alla onnipresenza del famoso “Fattore”.
Prima di procedere alla pubblicazione, in quanto citato più volte, ho sottoposto l’articolo all’esame preventivo dell’amico Pippo, il quale mi ha risposto con le seguenti parole.
“Ti ringrazio per l’apprezzamento del lavoro fotografico che hai rivolto all’amico Roberto Strano e che hai espresso in occasione della sua mostra al Centro della Fotografia di Palermo, formulando una recensione capace di tracciare letture parallele di quanto rappresentato, collegandole, peraltro, all’Eminenza BATTAGLIERA che tutto benevolmente sopraintende.
A nome mio, che vi ho collaborato, e a nome di Roberto ti ringrazio dell’attenzione che ti ha distratto dall’amato cazzeggio.
Colgo l’occasione per ricordare che tale nobile e proficuo atteggiamento ha radici antichissime, nobilissime se non addirittura “classiche” (nel senso che vi si può rivolgere ancora oggi).
Ne troviamo traccia nei Dialoghi di Platone, nel Vangelo, nel Decamerone, nei Racconti di Canterbury, nelle Mille e una notte, in Aulo Gellio, in San Francesco, nei cantastorie e nei trovatori; e non finirei mai di rimembrarti i tuoi confratelli di avventura.
Personalmente mi ritrovo nel cazzeggio e lo chiamo ERRARE laddove il dinamismo del procedere (il flusso del divenire) incontra la possibilità o necessità dell’errore.
E ancora più chiaramente mi ritrovo in quella esperienza che chiamano “serendipità” (C.Colombo cazzeggiava per l’oceano cercando le Indie e trova le Americhe; cerco l’ago nel fieno e vi scopro la figlia del mugnaio; ed altre amenità similari).
C’erano sempre state? Le abbiamo riconosciute dopo? Il nostro occhio fotografico era particolarmente allenato? O eravamo un fascio di nervi – HCB -pronti a formulare le immagini?
Io non so penetrare la vicenda perché tra determinismo e indeterminismo non so come giustificare il caso o il fattore C.
Ma devo confessare che poco mi tange, essendo sempre stato consapevole che ciò che non conosco non posso fotografarlo (la macchina invece si, ma io continuo a non riconoscerlo).
Ovviamente caro amico ti rivelo che Gastone mi era antipatico ma finivo per invidiarlo; con Paperino, invece, tutta la mia solidarietà, ma solo quella.”
Buona luce a tutti!
A tanti la risposta suscita immediata ilarità, altri ritengono inadeguata l’espressione usata, ma quando vado a spiegare meglio cosa intendevo dire veramente, riscontro in loro un cambiamento e un certo interesse; spesso vedo anche nascere un po’ d’invidia.
“Cazzeggio”, nel caso, è poter scegliere liberamente e decidere ogni momento del tuo tempo; rendendo facoltativo il dover cogliere occasioni o rimanere tranquilli a osservare, aspettare e magari rinunciare a qualcosa che presuppone un eccessivo inutile impegno che, in fondo, non vale la pena.
Analoghe considerazioni emergono quando, nella mia passione per la fotografia, esalto il “Fattore C”. Un elemento che ci accompagna con costanza e condiziona, in ogni campo, le nostre brevi esistenze.
Non mi dilungo sulle mie dissertazioni ma certo è che per raggiungere ogni traguardo ci vuole una buona dose di fortuna; nelle opportunità, nella salute, nel lavoro, negli incontri e chi più ne ha più ne metta.
Paradossalmente, se ci pensiamo per un attimo, occorre già partire dal fatto che c’è già voluta tanta fortuna a quell’inconscio spermatozoo che, tra milioni, è riuscito a fecondare, a consentirci la trasmissione del “dna” familiare, a continuare la missione di perpetuare la specie.
Occorre pertanto avere sempre consapevolezza di tutto quanto c’è nel nostro bicchiere mezzo pieno; forse basterebbe a far comprendere e meglio valutare lo status di ciascuno; specie ai più fortunati.
Mi rendo conto di come in campo artistico la maggior parte della gente così detta “impegnata”, che ha o ha avuto riconosciuti dei meriti, non accetta di buon grado la cosa, ritendendo la fortuna un fattore alquanto riduttivo.
Di regola questi sostengono che la casualità non c’entra per nulla con i loro traguardi, che la creatività che li contraddistingue li porta sempre ai risultati “voluti” e “certi”. Ciò può valere magari per creatività programmabili, per assemblaggi meccanici, per realizzazioni ingegneristiche, fotografie di marketing, di still life, ma mai nei casi che vanno a catturare attimi fuggenti.
Comunque, imbarcarsi in discussioni con soggetti “convinti”, che non potrai mai intaccare in confronti aperti, costituisce solo tempo sprecato.
Meglio tornare al più rilassante “cazzeggio” e continuare a cercare divertimento nelle cose che intrigano e che io pratico con diletto.
Capita quindi di avere segnalato un evento e quando l'indicazione arriva da una persona come Pippo Pappalardo è difficile non tenerne conto.
Nel caso in ispecie, si trattava dell’inaugurazione della mostra intitolata "Strade senza ritorno", una personale fotografica di Roberto Strano, arricchita con contributi di Pippo e incentrata su un tema inusuale e alquanto difficile.
Chi segnalava la mostra e la particolarità della tematica che riguardava tragicità connesse all'infortunistica stradale intrigava di per sé e per soddisfare la curiosità occorreva quindi partecipare all'inaugurazione.
Nella circostanza ho avuto modo di conoscere l'affabile autore che, con disponibilità, ha pure dedicato tempo ai visitatori intervenuti, raccontando curiosità e aneddoti sull'origine della sua mostra; riferiva anche dell'inaspettato contributo spontaneo pervenutogli da Pippo Pappalardo che, con dei suoi originali e intensi scritti, suscitati dalla preventiva visione delle foto che sarebbero state esposte, sottolineava il messaggio di certe immagini.
Le fotografie esposte, richiamavano le vecchie regole di stampa di un tempo, e l’ottima fattura rafforzava i contenuti intensi, crudi, tragici, mai speculativi e, soprattutto, belli: le fotografie non costituivano solo documenti rappresentativi d’incidenti, ma andavano ben oltre.
Le tragedie dell’infortunistica stradale, era rappresentata con efficacia in ogni sua forma, con evidenze esplicite di morti e con scene allusive che mantenevano la morte nascosta, latente.
L’osservazione evidenziava un certo parallelismo con delle scene di guerra, in questo caso non dichiarate, ma che ci accompagnano quotidianamente.
La sintesi dell'articolato scritto di Roberto Strano, in brevi frasi riportate in quarta di copertina, concettualizza al meglio il significato della difficile operazione.
Riporto di seguito i testi citati:
"Ho sempre creduto nella forza delle immagini". "Mi sono sempre chiesto se fosse etico raccontare il dolore". "Ho sempre cercato di non spettacolarizzarlo, di raccontarlo con rispetto, con la speranza di scuotere la coscienza dell'uomo". "Il giorno che non crederò più in tutto ciò smetterò di fotografare".
L’intero progetto è un esempio di come la fotografia può essere vissuta e come l’arte visiva può efficacemente raccontare, molto più di tante parole.
Una curiosità finale: lo spazio espositivo della mostra era Il “Centro internazionale di fotografia”, fortemente voluto e curato da Letizia Battaglia, lo stesso ambiente che aveva appena finito di accogliere la notevole mostra di Josef Koudelka incentrata sulla fine della “primavera" di Praga: “Invasion Prague '68”. I tanti lenzuoli che coprivano i cadaveri degli incidentati rappresentati da Strano richiamavano molto i morti ammazzati di mafia immortalati nei suoi scatti da Letizia.
Senza voler, in alcun modo, inficiare la valenza e lo spessore del progetto realizzato da Roberto Strano, con immagini prive di spettacolarizzazione ma proposte con un taglio altamente artistico, la strana (per l’appunto) combinazione/coincidenza d’incontri, luoghi, fatti e persone ……. mi ha portato a riflettere e a ripensare, qualora ne avessi avuto ancora bisogno, alla onnipresenza del famoso “Fattore”.
Prima di procedere alla pubblicazione, in quanto citato più volte, ho sottoposto l’articolo all’esame preventivo dell’amico Pippo, il quale mi ha risposto con le seguenti parole.
“Ti ringrazio per l’apprezzamento del lavoro fotografico che hai rivolto all’amico Roberto Strano e che hai espresso in occasione della sua mostra al Centro della Fotografia di Palermo, formulando una recensione capace di tracciare letture parallele di quanto rappresentato, collegandole, peraltro, all’Eminenza BATTAGLIERA che tutto benevolmente sopraintende.
A nome mio, che vi ho collaborato, e a nome di Roberto ti ringrazio dell’attenzione che ti ha distratto dall’amato cazzeggio.
Colgo l’occasione per ricordare che tale nobile e proficuo atteggiamento ha radici antichissime, nobilissime se non addirittura “classiche” (nel senso che vi si può rivolgere ancora oggi).
Ne troviamo traccia nei Dialoghi di Platone, nel Vangelo, nel Decamerone, nei Racconti di Canterbury, nelle Mille e una notte, in Aulo Gellio, in San Francesco, nei cantastorie e nei trovatori; e non finirei mai di rimembrarti i tuoi confratelli di avventura.
Personalmente mi ritrovo nel cazzeggio e lo chiamo ERRARE laddove il dinamismo del procedere (il flusso del divenire) incontra la possibilità o necessità dell’errore.
E ancora più chiaramente mi ritrovo in quella esperienza che chiamano “serendipità” (C.Colombo cazzeggiava per l’oceano cercando le Indie e trova le Americhe; cerco l’ago nel fieno e vi scopro la figlia del mugnaio; ed altre amenità similari).
C’erano sempre state? Le abbiamo riconosciute dopo? Il nostro occhio fotografico era particolarmente allenato? O eravamo un fascio di nervi – HCB -pronti a formulare le immagini?
Io non so penetrare la vicenda perché tra determinismo e indeterminismo non so come giustificare il caso o il fattore C.
Ma devo confessare che poco mi tange, essendo sempre stato consapevole che ciò che non conosco non posso fotografarlo (la macchina invece si, ma io continuo a non riconoscerlo).
Ovviamente caro amico ti rivelo che Gastone mi era antipatico ma finivo per invidiarlo; con Paperino, invece, tutta la mia solidarietà, ma solo quella.”
Buona luce a tutti!
© Essec
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