Alla trasmissione Quelli che il calcio, condotto da due 
comici, Paolo e Luca, Fulvio Collovati, ex stopper dell’Inter e della 
Nazionale, ha affermato: “Quando sento una donna, anche la moglie di un 
calciatore, ma questa è una mia opinione, parlare di tattica...mancano 
gli ‘esterni’...mi si rivolta lo stomaco". Per questa affermazione 
l’A.D. della Rai Fabrizio Salini ha sospeso per due settimane l’ex 
calciatore non solo da Quelli che il calcio di cui era un ospite fisso, ma da qualsiasi trasmissione della Rete pubblica.
Sono assolutamente d’accordo con Collovati. Provate a spiegare a una 
donna il fuorigioco e poi mi direte. Per quel che mi riguarda le donne 
se proprio ci tengono ad andare allo stadio dovrebbero essere relegate 
in qualche settore a loro dedicato come avviene, saggiamente, in alcuni 
Paesi musulmani. Il calcio, anche se ormai sconciato dall’irrompere sul 
campo della tecnologia, la televisione e il Var su tutto (si veda il 
grottesco episodio di Spal-Fiorentina di domenica scorsa dove dopo un 
fallo in area della Spal, non rilevato dall’arbitro, gli spallini in 
contropiede vanno in rete, esultanza, stop, fermi tutti, interviene il 
Var, il gol della Spal viene annullato e accordato il rigore alla 
Fiorentina, quattro, cinque minuti di sospensione con tanti saluti alla 
magia del gioco) è rimasto l’ultimo luogo del sacro in un Occidente 
totalmente materialista. Come ogni rito vuole una concentrazione 
assoluta. Non sono mai andato allo stadio con una donna. Perché non si 
può guardare una partita e nello stesso tempo sbaciucchiarsi. O l’uno o 
l’altra. Inoltre il calcio è un rito omosessuale, maschile, nel senso 
che permette di esprimere, sublimandola, l’omosessualità che è in 
ciascuno di noi senza incorrere nel rimbrotto sociale.
Questa naturalmente è una mia personalissima opinione come lo era, e 
molto più autorevole in questo settore, quella di Collovati. Ma la 
questione è molto più ampia e trascende il mondo del calcio anche se nel
 calcio spesso ritorna perché il mondo del pallone è uno specchio della 
società. Rimanendo per il momento in questo settore si è fatta una gran 
polemica perché mercoledì in Atletico Madrid-Juventus, al secondo gol 
dell’Atletico il suo allenatore, Simeone, ha fatto un gesto che alludeva
 a quelli che ipocritamente si chiamano “attributi”, cioè le palle, 
volendo significare che i suoi ce le avevano. Nel dopopartita si è 
parlato molto di più di questo gesto che del fatto sostanziale, cioè che
 la Juventus aveva fornito una prova incolore, mentre Godìn, Koke, 
Giménez e gli altri ci avevano messo tutto il loro ardore agonistico.
Riprendendo gli episodi che riguardano Collovati e Simeone vorrei 
sottolineare come ormai in questa società molto democratica sia di fatto
 proibito esprimere, con parole o gesti, le proprie opinioni o le 
proprie emozioni senza incorrere non solo nella sanzione sociale ma 
anche, come nel caso di Collovati, in quella professionale. Collovati ha
 detto una sciocchezza? Può darsi. Ma ha il pieno diritto di dirla se 
vale ancora nel nostro Paese il principio della libertà di espressione 
garantito dall’art. 21 della Costituzione. Invece tutto ciò che esce dal
 luogo comune è proibito. Forse anche questo articolo. Particolarmente 
feroce è la repressione democratica nei confronti dei nostalgici del 
fascismo. Non si può fare il ‘saluto romano’ senza rischio di galera, 
non si può avere fra i propri simboli il fascio littorio e così via. 
Ancora peggio va per chi voglia fare ricerca sull’Olocausto. Mi sono 
sempre domandato: ma è giusto incarcerare per tre anni uno storico come 
l’inglese David Irving arrestato in Austria per aver scritto un poderoso
 tomo in cui ridimensionava le cifre dell’Olocausto? E’ sufficiente 
sostenere una tesi aberrante senza torcere un capello a nessuno per 
finire in gattabuia? Le tesi assurde di certi storici andrebbero 
contrastate con più cultura e più controinformazione, non con le 
manette. Eppure, se ricordiamo Galileo e la giusta difesa che ne 
facciamo da secoli, il diritto alla ricerca è uno dei cardini di una 
società democratica. Il ‘revisionismo storico’ è proibito. Eppure è 
stato il liberale Benedetto Croce, che non può essere certamente 
sospettato di simpatie per il fascismo, ad affermare che “la Storia è il
 passato visto con gli occhi del presente”. E quindi non è affatto 
obbligatorio che il presente veda le cose con gli stessi occhi del 
passato. Anche perché la Storia del passato, nell’immediatezza dei 
fatti, è sempre la Storia vista dai vincitori. Poi c’è la ‘legge 
Mancino’ che con l’ipocrita dicitura “istigazione al” vieta l’odio 
razziale e, più genericamente, ogni tipo di odio. Come ho già scritto è 
la prima volta che si certa di mettere le manette ai sentimenti. Anche i
 peggiori regimi totalitari, se hanno vietato azioni, idee, ideologie, 
non hanno vietato l’odio. Perché l’odio è un sentimento, come lo è 
l’amore, la gelosia o l’ira, e come tale non è né contenibile né 
punibile in quanto tale. Va da sé che se tocco anche solo un capello a 
una persona che odio devo finire in gattabuia. Questa dovrebbe essere la
 sola regola valida in un regime che si definisce democratico. Invece 
non possiamo più dire né fare nulla. Nemmeno toccarci i coglioni.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 22 febbraio 2019)

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